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In queste 101 voci napoletane Erri De Luca innesta cultura e storia di un’intera città e dei suoi abitanti. Lo fa liberamente, muovendosi da una parola all’altra in maniera apparentemente casuale – “a schiovere”, come si dice a Napoli, a vanvera –, eppure tutto si tiene e diventa racconto: canzoni, film, poesie, la smorfia, ricordi d’infanzia e di una vita, curiosità linguistiche e corse di ragazzi sul basolato lucido di pioggia. “L’italiano usato in queste pagine per raccontare,” scrive l’autore in apertura, “è vocabolario aggiunto, adatto alla mia indole appartata. Lingua lenta di parole piane, è opposta all’altra sbrigativa, di parole tronche. L’italiano stava per me nei libri, silenzioso, spazioso, di entroterra. Il napoletano era portuale, carico di salsedine. Dove il napoletano scortica, l’italiano allevia. Mi ci affezionai per riparo. Fuori soffiava da ogni punto cardinale il napoletano, dentro la cameretta dei libri c’era a forma d’insenatura l’italiano. Grazie allo spessore degli scaffali imbacuccava pure contro il freddo, ’o fridd’. Senza coincidere si sono dati il cambio, escludendosi. Ma in queste pagine vanno per la sola volta sottobraccio.” Ad accompagnare parole e racconti, usciti nell’omonima rubrica settimanale del “Corriere del Mezzogiorno”, i disegni di Andrea Serio. E ogni voce è una storia da scoprire. A schiovere. È la maniera con cui mi vengono le storie, sbucate alla rinfusa da un guizzo di ricordo.
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