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Gaza è solo l’ultima ferita nell’illusione che è stata l’umanità. Una ferita da cui ora trabocca l’orrore di un reale privo di senso, dinanzi al quale non sappiamo più nemmeno cosa provare. «I sentimenti», dichiara Bifo, «non sono più possibili». E forse non solo per l’individuo – forse il mondo interno è immobilizzato da un trauma che non riesce a elaborare. In una vertiginosa anamnesi delle atrocità della storia recente, Franco Berardi vuole metterci di fronte a un’ineluttabile evidenza: il silenzio della comunità internazionale di fronte al genocidio, la spietata polarizzazione del dialogo, in breve, l’impasse dell’Occidente non è solo politica, ma psichica, cognitiva. Non è possibile capire, perché la storia rifugge la ragione – quanto accade oggi in Medio Oriente è una profonda, incontrollata reazione traumatica. L’ultimo anello di una «catena psicotica» che si inabissa nella nostra psiche collettiva fino a far svanire la relazione fra vittima e carnefice. Perché un trauma come l’Olocausto può riverberarsi per secoli, giacere latente e d’un tratto riaffiorare congelandoci in un’immobilità emotiva in cui tutto ciò che ci circonda è una minaccia. L’unica risposta diventa allora la ferocia incondizionata – la ferina scelta di rendere il mondo intero incapace di nuocere. E in questa cieca ferocia non esiste più futuro – una volta che si iniziano a vedere minacce ovunque, è impossibile fermarsi. La sopravvivenza, portata all’estremo, non può non sfociare nell’estinzione.
Allora come reagire? Come pensare dopo Gaza? La risposta, suggerisce Bifo, non la troveremo con la ragione. Dobbiamo invece scavare fra le macerie del trauma, per trovare, forse, la possibilità di un mondo capace di porre fine all’infinito ciclo della violenza.

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